La mia recensione a “Dove le strade non hanno nome” di Fabio Monteduro

51Zp0763GWL._Caro Visitatore,

oggi ti presento Dove le strade non hanno nome, un romanzo di Fabio Monteduro, che ho avuto la possibilità di leggere in cartaceo e commentare.  Si tratta di un genere fantascientifico, un campo nuovo per Monteduro che si è sempre cimentato in romanzi horror e thriller. La storia, come sempre, te la lascio scoprire attraverso la sinossi, concentrandomi sui  punti di forza e debolezza del romanzo.

Il primo punto di forza sono le cognizioni da cui è nato questo romanzo.

Ci sono dei misteri, che appartengono al nostro passato o meglio al passato dell’umanità e che risultano attualmente inspiegabili.

Fabio ne cita uno dopo l’altro nel libro, adducendo la sua teoria, quella che guida tutto il romanzo e che un anno fa avremmo potuto comodamente associare alla fatidica data del 21/12/2012.

Monteduro ha richiamato alla mente tutti questi misteri, si è informato su di essi e vi ha costruito attorno una storia di fantasia. Come lettore, potrai scoprire questi fatti inspiegabili grazie all’autore, indagare, qualora ne avessi voglia, e farti una tua idea.

Per quanto mi riguarda erano misteri che non conoscevo e che hanno catturato il mio interesse e le foto abilmente inserite da Monteduro hanno certamente aiutato in tal senso, come pure le sue spiegazioni dialogate, semplici e scorrevoli.

Avrei preferito però che avesse distribuito questi fatti inspiegabili nel corso del testo, senza metterli uno dietro l’altro nei primi capitoli 😉 In questo modo sarei rimasto a bocca aperta più volte e non una sola 😉

La storia è coinvolgente, ma ho avuto la sensazione di una stonatura rispetto a come è scritta. È una sensazione particolare: ho trovato il modo di scrivere di Fabio estremamente rilassante e piacevole. Aprire il libro ha significato lasciarsi accompagnare dalle sue parole. Il lato negativo di questa sensazione è che perde un po’ la suspance del narrato e l’aumento adrenalinico… viene da chiedersi se sia questo lo stile di Monteduro, nonostante sia autore di thriller e horror o se il cambio di genere abbia comportato una modifica del suo scrivere.

Come rispondermi? Ovviamente, prendendo uno dei thriller pubblicati da Fabio e verificare. Anche perché, se mi rilassa un fantascientifico va pure bene, se mi dovesse fare questo effetto un suo thriller… ehm… vabbé, ci siamo capiti 😉

Ti saprò dire non appena leggerò qualche suo altro testo, ma è anche vero che in giro nella rete si parla bene dei suoi romanzi thriller e horror (ho fatto una ricerca per scegliere un altro libro, optando per Jodi).

cop (1)La trama è ben costruita, mi piace molto il cambio dei punti  di vista nella visione della stessa vicenda, vissuta così dagli USA e da più parti dell’Europa da personaggi protagonisti sempre maschili, singoli o accompagnati  da una donna. Ogni personaggio si ritrova di fronte a una scelta: accettare di lasciare il pianeta o di restare e rischiare la morte. In ogni caso il bivio rivela che si è di fronte alla fine del mondo così come lo si è conosciuto.

A fronte di una simile catastrofe, l’uomo ripensa alla sua umanità. Belle le riflessioni sulla filosofia e sul senso della vita, sull’uomo e sulla religione che fa Monteduro, ma non aspettarti la presenza di uno shock emotivo degli stessi personaggi.

C’è una fine del mondo in atto, ma Monteduro fa mantenere i nervi saldi ai suoi personaggi, curando poco le emozioni. Ha scelto la fredda razionalità a fronte del coinvolgimento emotivo, sarà forse per questo che i suoi protagonisti sono tutti maschi? 😉

Personalmente apprezzo molto i romanzi dove la componente emotiva è maggiormente curata. Aiuta a provare simpatia per i personaggi, nella sua accezione più antica: dal greco sun patheia, “patire con”, “provare assieme a”. Quando essa è poco tratteggiata, si crea una dissonanza emotiva tra ciò che il lettore immagina di provare in quella data situazione e quello il sentire dei personaggi.

Nel caso del romanzo di Monteduro: tra il grado di emozione e sconvolgimento provati dai protagonisti e ciò che prova il lettore.

La trama in sé mi è ben congeniata e lineare, tale da rendere il romanzo di piacevole lettura. Ho anche qui solo un paio di appunti. Il primo è che l’arrivo dei monoliti alieni è forse un po’ troppo simile alla celebre scena di Indipendence Day, quanto meno per i luoghi di apparizione scelti e per la contemporaneità dell’apparizione. Naturalmente do atto che è difficile descrivere un invasione aliena, senza ricordare un film così famoso.

Il secondo appunto è che ho trovato più ricca tutta la parte di attesa della data del 21/12/2012 e di introduzione della vita di ogni personaggio che lo svolgimento dell’arrivo degli alieni e della risoluzione della vicenda. Non manca nulla alla comprensione del testo, sia chiaro, ma mi sarebbe piaciuta qualche pagina in meno nel pre-arrivo e qualche pagina in più nel post.

Tant’è che il momento centrale di tutto il romanzo, l’arrivo, avviene quando già si è superata la metà del testo.

Il finale? Esattamente quello che avrei dato io 😉

Nota di lode da sottolineare: la colonna sonora del film, che tra citazioni e richiami accompagna idealmente il lettore. Ovviamente il genere è rock! Il nome stesso del testo è tratto da una canzone degli U2.

Ottima scelta, ho cercato i brani riportati, scoprendo alcuni gruppi che non conoscevo 🙂 Apprendere fa sempre bene 😉

Da ultimo, ho molto apprezzato la comicità in stile americano e lo stile cinematografico che in alcuni tratti del testo Fabio dimostra di possedere: la scena è tutta lì davanti agli occhi, tracciata dalle righe della storia. Il lettore non deve far altro che osservarla. Non sarà Indipendence Day, come ho detto, ma vale davvero la pena leggerlo.

GGB

La mia recensione a “Prima che cali il silenzio”, di Laura Scanu

copCaro Visitatore,

La scrittrice Giovanna Albi mi ha insegnato un detto, un libro che ti lascia come ti ha trovato non è un libro. Modificando leggermente questo detto, possiamo dire che un libro che ti apre varie riflessioni è un ottimo libro.

Ed è così che si presenta Prima che cali il silenzio, romanzo breve di Laura Scanu. La tematica, così come la pre e post fazione, a cura rispettivamente della dott.ssa Anna Maria Pilozzi, dell’associazione la Caramella buona e di Annabella Stella Buonocore, è quanto mai interessante. Si tratta di un caso di pedofilia.

La novità è nel punto di vista della narrazione, perché l’autrice si cala nei panni del pedofilo, per poi passare in quelli della moglie e della loro figlia (che si intuisce essere una delle vittime degli abusi).

Una visione a 360 gradi, che non si espone a condanne né vittimizza o giustifica il carnefice, che narra i fatti, colpevolizzando quel drago interiore (figura tratta da un preciso e apprezzabile riferimento biblico al libro dell’Apocalisse) che scatena il desiderio malato di possedere delle minorenni, che ancora non hanno raggiunto la pubertà.

Il testo è di facile lettura, breve e intenso, con un linguaggio accurato (anche se andrebbe rivista in alcun punti la spaziatura tra i virgolettati dei dialoghi).

Laura Scanu ha il pregio di consegnare al lettore un prodotto di estrema riflessione e di farlo in pochissime pagine, con una modalità che ricorda una poesia in prosa.

Gli accostamenti biblici con il drago dell’Apocalisse sono di vero pregio, creando una metafora del male davvero forte e di alto livello culturale. Non è facile vestire i panni di un pedofilo che parla di sé e non lo è provare a farli indossare al lettore.

Laura dimostra una grande capacità di impersonificazione in un diverso da lei, che viene tratteggiato dal senso comune come il male assoluto, che è di sesso maschile, che è un sofferente, che è condannato, giustamente, dalla società.

Laura Scanu non condanna né giustifica e non richiede al lettore nessuna delle due cose. Chiede di prendere contatto con il pedofilo, ascoltarlo, capire a fondo la sofferenza di un disturbo sessuale che ha come vittime i bambini ma anche sé stesso. Chiede di ascoltare i familiari del pedofilo, chiede di ascoltare la vittima. Il giudizio è lasciato al lettore, ma di certo le prospettive che Laura offre in poche pagine sono ottime e indubbio è il suo talento, palpabile nelle righe che ti scorrono uno dietro l’altra sotto gli occhi.

E’ un uomo qualunque il protagonista della vicenda, ha una casa, un lavoro, una figlia. Questa situazione di apparente normalità è richiamata nella postfazione di Annabella Stella Buonocore, perché il pericolo per le giovani vittime e le loro famiglie nasce proprio dal fatto che il pedofilo ha in genere una vita normalissima. Non ha tratti distintivi, segni di riconoscimento, spesso è il vicino di casa, il genitore del compagno di banco del figlio. Spesso vive all’interno della stessa famiglia della vittima.

A completamento dell’opera, nella postfazione sono brevemente riportati dei dati sulla pedofilia e sulle normative vigenti a livello nazionale e internazionale.

C’è però una mancanza, che da psicologo della salute non riesco a ignorare. È un’assenza che leggo anche nel nostro Paese: non è fatto cenno a come si possa prevenire la pedofilia. Non si tratta solo di prevenire il reato, di riconoscere unicamente i casi a rischio o “il potenziale pedofilo”: spesso si etichetta il colpevole come pedofilo e il bambino come vittima, quando è troppo tardi, quando l’abuso si è già drammaticamente in toto o in parte consumato. Più rari i casi in cui ci si accorge in tempo della  possibilità di un reato e, se lì si è salvato il bambino dall’essere vittima, si ha comunque un pedofilo.

La prevenzione a cui mi riferisco è a monte, impedire l’insorgere di questo disturbo che appartiene sì alla sfera sessuale, ma a mio avviso anche a quella sociale. Che lavoro si può fare a livello di prevenzione della patologia? Quanto sarebbe bene riuscire a operare tramite l’educazione alla socio-affettività nei contesti scolastici di vario ordine e grado, che come sappiamo pensano tanto alla ragione e poco e niente alle emozioni, alla socievolezza, all’affettività propria e altrui?

Quante vittime di questa patologia salveremmo se insegnassimo come comprendere cosa pensa e prova l’altro e cosa pensiamo e proviamo noi stessi?

Quando in Italia impareremo il valore della prevenzione, a discapito della mera cura?

Si sarà capito che sono palesemente contrario alla soluzione della castrazione chimica, promossa da qualche esponente politico e da qualche cittadino, rimasto probabilmente a un livello intellettivo ed emotivo di tradizione medioevale. Sono per la prevenzione, che implica un ragionamento sulla società, sui minori e anche sul pedofilo (e Laura mi dona in tal senso un’ottima finestra di osservazione).

Spero di scrivere qualcosa di più approfondito in merito a questo argomento, aspettando un’opinione, anche in privato, di chi leggerà questa recensione e ovviamente di Laura Scanu, a cui vanno tutti i miei complimenti per questo ottimo testo.

GGB

La mia recensione a “La vendetta è un gusto”, di Giancarlo Ibba

51wJwJtFLnL._AA258_PIkin4,BottomRight,-29,22_AA280_SH20_OU29_Caro Visitatore,

oggi ti presento un thriller breve e divertente, nato dalla penna di Giancarlo Ibba, che mi ha contattato per una recensione. Sto parlando de La vendetta è un gusto, edito da Edizioni Esordienti.

L’ho avuto in e-book e questa è la sinossi: In una Cagliari invernale e cupa, un professore universitario viene ritrovato sezionato in settantasei pezzi, nel suo appartamento, ma questo è solo il primo di una serie di misteriosi, efferati delitti.
Perché tutto ciò? Chi mai può essere capace di tanta violenza? E, soprattutto, con quali motivazioni? I protagonisti della storia sono degli studenti universitari come tanti, come il protagonista, Lorenzo, i suoi compagni di appartamento, la sua ragazza July, che convive con l’amica Betta, e Stella, grande amica e compagna di Lorenzo alla Facoltà di Scienze Naturali. Ragazzi assolutamente normali, e pure ordinaria e banale è la Facoltà che frequentano, affollata di animali impagliati e scaffali con barattoli pieni di liquido in cui si conservano repellenti cadaverini traslucidi e mollicci, sale buie e un po’ tetre, un grande Acquario debolmente illuminato in cui nuotano pigramente cernie e murene. Ma, anche nella tranquilla quotidianità, follia e desiderio di vendetta sono pulsioni sempre in agguato nel più profondo della mente umana e pronte a esplodere, basta il giusto innesco…

Grazie alla brevità del testo e alla bravura di Giancarlo, sono riuscito a leggerlo in pochi giorni, complice anche il coinvolgimento che la storia trasmette, che più va avanti, più stimola la lettura, facendo salire l’adrenalina nelle pagine conclusive.

Come sempre, spenderò poche righe per la trama: un bel testo va letto, non c’è niente da fare. Il mio compito, essendomi piaciuto il romanzo, è incuriosirti. Ti dirò dunque che è scritto in prima persona, cosa inusuale e apprezzabile per un thriller, perché ti porta a stare accanto al protagonista narrante, con un bel balzo adrenalinico.

È la storia di Lorenzo, giovane studente universitario fuorisede, che in poche ore si ritroverà il tanto odiato professore fatto a pezzi dentro la facoltà e la ragazza tanto amata a letto con la migliore amica, in un rapporto saffico che lascia poco all’immaginazione. Due pugni allo stomaco niente male per il povero Lorenzo, che correrà a sfogarsi dall’amica di sempre, Stella. Non accadendo nulla per caso, ovviamente, i cadaveri che Lorenzo scoprirà aumenteranno e la verità verrà presto a bussargli alle spalle (o meglio a colpirlo con una grossa mazza sul collo).

Ho ridotto volutamente la trama all’osso, perché non è esattamente quella che conta (e poi rischierei di svelarti troppo!): è importante invece sottolineare che La vendetta è un gusto è un thriller che emerge pagina dopo pagina, fino a diventare al cardiopalma nelle battute finali. Dò atto a Giancarlo di aver scritto davvero un bel testo e lodo la sua capacità di sintesi: inizialmente ero quasi stupito che tutta la storia si potesse risolvere in poco più di 120 pagine. E, sebbene il macabro killer venga svelato in breve tempo, il romanzo è completo, non mancando di nulla. C’è persino lo spazio per le spiegazioni finali, quei piccoli dettagli, densi di significato, che completano il puzzle e danno succulenti (scoprirai che uso questo aggettivo con un bel po’ di cinismo) retroscena.

Lo sfondo della storia è la Sardegna, anche se per capirlo l’autore ti fa penare un po’, non dando coordinate spaziali precise dall’inizio del romanzo. Mirabili sono le citazioni ad inizio capitolo e durante lo svolgersi della trama: che siano letterarie o musicali, sono di indubbio gusto. E Giancarlo sembra tenerci molto alle citazioni, inserendole ovunque, talvolta forse eccedendo: quelle che contornano la paralisi di Lorenzo di fronte al corpo maciullato del suo professore, francamente, rovinano un po’ la suspance.

E visto che mi sono immerso in una piccola chiosa sui “punti deboli che ho trovato del romanzo”, aggiungo anche che citare anche Beautiful e Baywatch come altri stralci della programmazione Mediaset, cozza un po’ con le restanti citazioni del romanzo, che come ho detto sono di livello. Okay, stiamo parlando di universitari degli anni ’90 (c’è ancora la lira), okay erano due programmi forse in voga  ma… mi hanno lasciato parecchio perplesso…

Mirabile il rapporto tra Lorenzo e Stella, che mi ha ricordato un po’ i dialoghi tra i protagonisti del mio romanzo Selvaggia, i Chiaroscuri di Personalità. La figura di Stella è molto enigmatica, difficile all’inizio da sviscerare, ma mi ha ricordato molto Selvaggia. Se mai Giancarlo leggerà il mio romanzo, potremo divertirci a metterle a confronto. Il pregio di Giancarlo è di riuscire a rendere bene la sua figura: una ragazza non bellissima, come spesso sottolinea, ma talmente affascinante nel suo modo di porsi e di parlare da renderla per certi versi persino erotica. E non è facile rendere perfettamente l’idea di un personaggio solo attraverso il suo comportamento.

Altro pregio del romanzo è intrecciare due storie assieme: la vita di Lorenzo e il suo sconvolgimento. Lorenzo mi piace, è divertente e spassoso, con la giusta dose di cinismo. Nonostante la trama si apra con un omicidio e si capisca da subito che si tratta di un thriller, il lettore viene talmente distratto dalla vita ordinaria di Lorenzo, da rimanere sconvolto assieme a lui dalla violenza sentimentale e omicida che improvvisamente investe la sua vita. Da lì una valanga di colpi di scena e l’adrenalina che va alle stelle.

Ultima nota, a latere, dopo averti consigliato la lettura, caro Visitatore: troverai le cause della brutalità di questi omicidi, ma saranno solo moventi, non motivazioni logiche che giustifichino tutta la follia che viene descritta. Non so se Giancarlo non sia riuscito a spiegarle o se volutamente non l’abbia fatto, ma sicuramente è apprezzabile il risultato di questa assenza di motivazione reale: sei tu, da lettore, che ti ritrovi a cercare il senso, una volta chiuso il libro.

Io ho trovato la seguente, sarò curioso di sentire la tua. Siamo tutti potenziali folli, ciò che differenzia chi lo resta in potenza da chi lo diviene in atto, è nella misura e nella modalità con cui ci hanno realmente insegnato a gestire le nostre emozioni. Chi leggerà, capirà. 😉

GGB

Un capolavoro: Marmellata di prugne, di Patrizia Fortunati.

9788862541305 (1)Caro Visitatore,

qualche tempo fa Patrizia Fortunati mi ha regalato in e-book  il suo romanzo, Marmellata di Prugne, edito da Ali&No. Quando lo avevo scovato nei libri da recensire del Libro del Martedì, mi aveva incuriosito la trama.

Se ho un pregio, è quello di fiutare i libri che val la pena di leggere e non mi sono sbagliato neanche questa volta. Ho chiesto a Patrizia se poteva inviarmelo, scoprendo una piccola perla che a mio avviso non può mancare nella tua libreria.

Patrizia era curiosa di avere una valutazione maschile. Chissà, forse lo considera un romanzo al femminile, io credo sia per tutti, per chi soprattutto è pronto ad aprire il suo cuore a un investimento di emozioni reali, capaci di toccarti la punta più profonda del cuore.

È la storia di Ludmilla, nata in Bielorussia nel 1986 (mia coetanea, quasi) che a novant’anni si ritrova a ripercorrere la sua vita, a sciogliere i nodi che ha legato, a fare pace con sé stessa, a rimproverarsi e a perdonarsi delle sue mancanze. Un vero e proprio bilancio di un’esistenza in buona parte sfortunata, ma densa di insegnamenti di vita.

Capirai bene che realtà e fantasia vanno a intrecciarsi: una donna nata nel 1986 può avere novanta anni solo in un futuro lontano, rispetto ad oggi. Nella prefazione al testo leggerai che realtà e fantasia sono ben bilanciate tra loro, io non credo sia così: nel corso della lettura i sentimenti si fanno così vivi e toccanti, che scorderai completamente la parte fantasiosa.

Il talento di Patrizia è indiscutibile, come lo è la sua capacità di empatia, il suo mettersi nei panni di una bambina bielorussa, come di una novantenne, e il suo contemporaneo saper trasmettere le emozioni al lettore, a tal punto che non riuscirai a staccare gli occhi dalle sue parole: io l’ho terminato in due giorni, perché per la prima volta (e sai bene quanto leggo) ho trovato un libro capace non di legare a sé solo la tua attenzione, ma il tuo cuore. Una storia già di per sé toccante, si trasforma in poesia grazie al talento di Patrizia, fino a diventare un vero e proprio inno alla vita.

Sullo sfondo il disastro di Chernobyl, che diviene salvezza per Ludmilla, perché la porta a trascorrere dieci estati in Italia, come cura dalle radiazioni. Conoscerà una realtà completamente diversa dalla sua, capace di insegnarle tanto, grazie all’affetto dei suoi italiani (anzi, dei miei italiani, visto che è tutto scritto in prima persona). E da lettore, sarai tu stesso a conoscere una realtà completamente diversa dalla tua, dura da capire e da digerire, realtà che io ho incontrato in parte nei racconti e negli occhi della mia ragazza albanese (forse anche per questo mi è piaciuto tanto) e toccando con mano alcune realtà dell’est Europa.

È una storia di incontro culturale, di sentimento, di vita. È a pieno titolo un romanzo di formazione, che potrebbe tranquillamente essere inserito tra le letture scolastiche: insegnerebbe davvero tanto ai giovani italiani, li aiuterebbe a capire mondi lontani dai loro e ad apprezzare la loro cultura e l’impegno umano e sociale di tanti nostri connazionali. E qui viene la parte reale del romanzo, perché esistono realmente associazioni che stanno salvando la vita di tanti giovani bielorussi coinvolti dalle radiazioni del disastro nucleare di Chernobyl e, come scoprirai dalla lettura, stanno probabilmente donando anche di più.

Io mi fermo qui in questa valutazione, perché ammetto di non riuscire a trovare le parole per esprimere la bellezza di questo testo. Se hai già avuto modo di leggere il mio blog, saprai che sono autore anche io, e di fronte a un capolavoro non ho problemi ad ammettere di non riuscire a trovare le parole giuste, perché ho addirittura timore di sminuire il testo stesso.

Posso solo dirti: leggilo! (e non è un consiglio, ma un imperativo categorico), perché è un testo che non ha bisogno di recensioni positive, sa parlare bene di sé da solo e soprattutto sa parlarti, toccando le corde più profonde del tuo animo, emozionandoti, commuovendoti e facendoti riflettere.

Brava Patrizia, ti auguro ogni successo possibile: perché più Marmellata di Prugne avrà successo, più ci saranno persone toccate nel profondo del cuore.

Nel leggerlo sono cresciuto tanto, e lo devo a te, al talento del tuo scrivere e quella tua enorme empatia, che mi ha mi permesso di vivere la Bielorussia e le sue fragilità.

Oggi ho scoperto un capolavoro.

GGB

La mia recensione a SIN, di Alessandro Vizzino

downloadCaro Visitatore,

Ognuno di noi ha un peccato, anche se molti non lo sanno.

Questa frase riassume tutto il senso di SIN, opera di pregio di Alessandro Vizzino. Nonostante la conoscenza e l’amicizia che mi lega a lui, cercherò di essere il più oggettivo possibile in questa recensione, e l’oggettività sta nel dichiarare che è un romanzo che ti cattura dalle prime righe e, in un mix di adrenalina e suspance, ti trascina prepotentemente attraverso tutte le sue seicento pagine.

L’editore è MJM. L’ho letto in versione cartacea, ma è disponibile anche in e-book. Notizie ulteriori sull’autore possono essere trovate sul suo sito internet.

Un po’ di sinossi, anche se a completamento della stessa puoi trovare il video trailer del libro in fondo a questo post: Ognuno nella vita ha almeno un peccato. Ma non tutti lo sanno. Mezzo secolo avanti, in un mondo diverso. Alcune persone si ritrovano in un luogo ignoto ed enigmatico. Non si sono mai viste prima, ma pian piano cominceranno a rintracciare i vari fili di congiunzione che le legano indissolubilmente l’una all’altra. In un abisso denso d’intrighi e misteri, cercheranno di sopravvivere alla ferocia di un cinico aguzzino. Tenteranno di far galleggiare la loro esistenza al disopra di una morte cingente e dilagante. Sullo sfondo, un grande affare internazionale, che coinvolge anche la Chiesa. Soltanto alla fine ogni cosa apparirà chiara. E il peccato emergerà dalla melma. Una conclusione scioccante, su cui riflettere. Un romanzo ritmato, intenso, incalzante. Seicento pagine di passione e adrenalina allo stato puro. Un’opera thriller ampia, corale, unica. Un’opera in cui ciascuno è protagonista e nessuno è comparsa. Un’opera d’enorme originalità e impatto, che tuttavia non disdegna molteplici punti d’analogia con importanti lavori della letteratura thriller-noir o del cinema (Angeli e demoni, Io uccido, Cube, Saw, Seven).

Ho letto questo romanzo durante le vacanze estive a Misano Adriatico, questo vuol dire che ha aumentato notevolmente il peso del mio bagaglio (600 pagine sono un bel mattoncino…). Mi ero ripromesso di leggerlo la sera, in modo da non dovermelo caricare nello zaino durante gli spostamenti in bicicletta (mezzo di trasporto ottimale a Misano), ma si sa che se per un intero anno il tuo editore e amico ti incalza a leggere il suo romanzo per avere un’opinione e tu non esaudisci il suo desiderio, perché preso a leggere altro per recensioni e per le interviste a Radiovortice, la legge dantesca del contrappasso si attiva inesorabilmente! E dato che Alessandro sa scrivere e sa farlo dannatamente bene e sa soprattutto inventare thriller di livello, ti ritrovi a trascinarti SIN ovunque, alla faccia del peso! E lo finisci, da vero recordman, in quattro giorni, preso come sei dalla lettura (complice anche un bell’acquazzone che per un intero giorno non mi ha fatto uscire di casa…).

Un po’ di storia, ma non pensare che ti rivelerò qualcosa! 😉 Se deciderai di leggerlo, dovrai lasciarti trascinare in questo vortice di intrighi, delitti scellerati, suspance e adrenalina.

Innanzitutto, è apprezzabile la scelta di ambientarlo in un futuro lontano, perché Vizzino ha avuto così modo di ipotizzare uno dei mondi possibili e di inserire qualche chicca di gusto (l’aeroporto statunitense Barack Obama è di vero stile). C’è un pessimismo sul genere umano che traspare dalla scrittura di Vizzino, nulla è realmente cambiato rispetto a oggi: ci sono stati dei passi avanti in campo sociale e tecnologico incredibili (per dirne una su tutte, la Chiesa ha riconosciuto i matrimoni gay), ma il decadimento del genere umano è palpabile. Se arrivi alla fine della trama, quando si trova la risposta alla domanda che pervade personaggi e lettore: perché tutto questo?, il pessimismo vizziniano sul genere umano raggiunge la sua apoteosi. L’uomo può e accetta tutto per il business. Ma non aggiungo altro in merito.

Dieci persone (forse un omaggio mai dichiarato alla regina del giallo, Agatha Christie) rinchiuse per chissà quale motivo all’interno di un lussuoso appartamento privo di finestre e di ogni contatto con l’esterno. Dieci persone solo in apparenza sconosciute tra loro e un burattinaio, colui che li ha rinchiusi lì, che decide chi vive e chi muore. Ne resterà solo uno.

Ognuno perde la vita per il suo peccato, perché esso è tutto ciò che lo categorizza e lo descrive. Sentimenti, redenzione, perdono, etica, sono tutte parole che perdono ogni significato dentro quel luogo. Quel che conta è il peccato, e dato che biblicamente i peccati sono dieci, dieci sono le vittime. Quella colpa che tutto ciò che il burattinaio vede in loro, il resto non conta, tutto è riduttivamente ricondotto a quell’unica, singola colpa, grande o piccola poco importa: per essa devono morire.

Una lotta per la sopravvivenza, con sé stessi, con la propria umanità. Il lettore è l’undicesimo protagonista segregato, si sente più solo delitto dopo delitto e mentre quelle pagine scorrono e sente di avvicinarsi sempre più al perché, l’adrenalina ribolle dentro: non puoi staccarti da SIN a lungo, devi tornare a leggerlo il prima possibile, devi capire, comprendere i motivi e le ragioni, dare un senso là dove ogni significato sfugge beffardamente alla ragione.

Questa in sintesi la storia, poi c’è la modalità di scrittura di Vizzino, che riesce a trascinarti pagina dopo pagina, a condurti sempre più a fondo in questo rompicapo. Uno stile scorrevole, che corre sotto gli occhi. Sempre chiaro, anche nel descrivere i congegni tecnologici che nel suo futuro sono di uso comune, ma che oggi sono difficili da rappresentare per iscritto (siamo ancora molto primitivi, rispetto al qui ed ora di Sin). La chiarezza è anche nel descrivere tutte le intricate stanze e i marchingegni di quella prigione di lusso, così come i personaggi.

E se talvolta vai a fine libro, per vedere le mappe dell’appartamento e le biografie dei personaggi, è solo per completezza e per addentrarti ancora di più nella storia. Ottima la scelta di inserire mappe e biografie, ad ogni modo: sono quella ciliegina sulla torta che il lettore apprezza enormemente!

E poi ci sono le chicche di Alessandro, che avevo già avuto modo di apprezzare nel leggere il suo secondo testo (La culla di Giuda), quelle battute, specie quando parla di sessualità, quelle “cadute di stile” volute, che sanno interrompere l’ansia del narrato, sdrammatizzando.

Unica pecca, alcuni dialoghi, che appaiono in qualche punto troppo ridondanti e faticosi da seguire, talvolta perché sono alcuni dei personaggi ad essere caratterialmente pedanti, talvolta perché è lo stesso Vizzino a cadere un po’ nel superfluo.

Ad ogni modo ne troverete uno ogni cento pagine, di media: su seicento, sono tollerabilissimi 😉

Da ultimo, una considerazione socio-politica sul romanzo, inevitabile con una trama che riflette sull’uomo e su un futuro possibile. Si sa ormai che io e Vizzino siamo agli antipodi, sia dal punto di vista sia calcistico (essendo l’after day del derby, ricordo a Vizzino questo 2-0 per la Roma :P) che politico e i battibecchi non mancano mai.

Eppure, ho trovato molta comunanza di idee e posizioni tra le righe di questo testo, che mi hanno portato a volte a chiedermi se non stesse donando ai protagonisti un pensiero diverso dal suo, altre volte se stavo leggendo proprio un romanzo di Alessandro Vizzino (ricontrollando l’autore sopra il titolo), altre volte ancora se avesse ricevuto una botta in testa poco dopo aver scritto SIN… trovando tutte e tre le ipotesi poco credibili, mi sono risolto che probabilmente è quel ceppo socialista comune che non ci rende poi così diversi 😉

Me lo ricorderò nel prossimo battibecco con lui.

E per te, caro Visitatore, consigliatissima la lettura di un thriller al cardiopalma da non perdere 😉

GGB

La mia recensione a “Patto con il vampiro”, di Tiziana Cazziero

copCaro Visitatore,

ho letto questo romanzo con molto interesse e mi sono lasciato prendere dalla storia fantasy che descrive. Nel complesso Patto con il vampiro, di Tiziana Cazziero è un testo che ha diverse note di merito e qualche criticità. Sicuramente è da consigliare, non a caso è nato per un concorso del 2010, in cui Tiziana si classificò seconda.

Parto da come è scritto, che è la cosa più importante nel momento in cui si prende in mano un testo: per pubblicare un libro, non basta saper scrivere, quello lo sappiamo fare tutti grazie alla scuola dell’obbligo. Perché un libro possa veder la luce, occorre saper scrivere bene, avere quel talento che distingue chi è autore da chi non lo è. Tiziana Cazziero possiede indubbiamente questo talento, non per nulla il suo romanzo è fluido e scorrevole, con un linguaggio ricco ma al tempo stesso semplice e mai annoiante.

Passo poi al genere letterario. Si dice che in genere chi si cimenti nella scrittura parta proprio da un fantasy, più semplice da impostare e da scrivere. Non so se sia vero, fatto sta che la concorrenza all’interno del genere è ampia e non credo sia facile scrivere qualcosa di originale che esuli tanto dal già visto nei cinema quanto dal già letto in altri autori. La storia di Tiziana è originale e pur riprendendo delle tipologie di personaggi classici (un vampiro, una strega buona e una strega cattiva), riesce a mescolare una storia che guarda alla lotta tra il bene e il male, aggiungendo un qualcosa in più, ovvero la lotta interiore tra queste due entità, perché il positivo e il negativo appartengono a tutti noi e il vero eroismo sta nella scelta del giusto e nella conseguente rinuncia al facile potere.

I due personaggi protagonisti lottano contro la loro stessa natura, non si assoggettano né a un destino che li vuole crudeli né al facile potere. Scelgono di essere liberi di fare la cosa giusta, di lottare contro le loro stesse fragilità, contro la loro natura e personalità. Questo aggiunge un’originalità nel romanzo di Tiziana, che fa uscire il suo testo dal mare magnum di tante storie che vedono vampiri e streghe come protagonisti.

C’è però un punto di criticità nell’impalcatura di questa breve storia (147 pagine in tutto). Ho avuto come l’impressione che Tiziana abbia un po’ corso nelle fasi iniziali della trama, come se avesse avuto fretta di arrivare ai momenti cruciali della storia. Il lettore viene portato dalla presunta normalità tanto del mondo come lo conosciamo quanto della vita della protagonista al fantasy vero e proprio in un lasso di tempo breve. Molte spiegazioni su chi è realmente la protagonista sono tralasciate, per poi riprenderle solo nelle fasi conclusive.

Per quanto si ripeta che ella debba capire pian piano, le spiegazioni avvengono troppo brevemente e per metà libro si fatica un po’ a capire dove sta andando la trama. C’è ad esempio una notte di dialogo tra Ettore e Sonia, che è solo citata e che da lettore sento di essermi un po’ perso. Al contempo, la stessa fretta percepita castiga un po’ la suspance e il mistero, che potevano essere entrambi rinforzati.

Insomma, mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato un accompagnamento maggiore del lettore verso i nodi cruciali della storia nel corso del libro e non solo al suo concludersi, senza che questo dovesse faticare un poco a stare dietro all’autrice.

Da metà libro in poi la fretta sembra abbassarsi, ci sono quei colpi di scena e quell’azione che rendono il romanzo gradevole e accattivante, quegli elementi che mi fanno gustare un fantasy.

Nel complesso la mia personale valutazione è sufficientemente positiva, e di certo questo testo è consigliabile tanto per gli adolescenti e quanto e soprattutto per gli appassionati al genere.  Il talento c’è, ci rimetterei un po’ la mano sopra nelle prime pagine, per trasformarlo dal diamante grezzo che è, a un rubino finemente lavorato, cosa che promette di essere.

E per te, caro visitatore, il trailer del libro.

GGB

La mia recensione a “Tutto tranne l’amore”, di Giuseppe Di Costanzo

downloadCaro Visitatore,

oggi voglio presentarti la recensione di romanzo molto appetibile, nato dalla proficua penna di Giuseppe Di Costanzo, professore di filosofia all’università di Napoli. Si tratta di Tutto tranne l’amore, un’opera davvero apprezzabile sia per i contenuti sia per lo stile con cui è scritto, particolarità che lo rendono originale e da non perdere.

Non mi dilungo sulla storia, quella lascio che sia tu a leggerla, perché in una recensione non val la pena di narrare gli accadimenti, altrimenti si toglie al potenziale lettore l’opportunità di scoprirli.

Ti citerò le tematiche che affronta, che come ho detto contribuiscono a renderla originale.

Primo tra tutti, l’omosessualità e la prostituzione omosessuale femminile. Il primo è spesso toccato dalla letteratura, il secondo direi in buona parte trascurato.

Ritenendo che l’autore si sia ben documentato, prima di stendere l’opera, si scoprono molte cose interessanti sulla prostituzione omosessuale, sia in Italia che in altri Paesi, dove il meretricio è tollerato, come in Svizzera. Si scopre l’esistenza di Club femminili dove vi sono prostitute a pagamento, si scopre la realtà che spesso coinvolge tante ragazze dell’est Europa. Ragazze come Christina, la protagonista romena del romanzo.

Ma la vera carta vincente è il talento narrativo di Di Costanzo e la forma scelta per la narrazione. La storia è un susseguirsi continuo di dialoghi tra i personaggi coinvolti. Non troverai la descrizione di un luogo o di un contesto, o di un tempo preciso. Tutto è narrato attraverso i dialoghi dei personaggi, sia nel qui ed ora dell’azione, sia nel là e allora di eventi passati legati alla storia. Una sorta di messa in scena teatrale, che sfugge però alle stesse regole dei testi del teatro.

È una scelta che ammiro molto e per nulla facile da stendere su delle pagine bianche. Occorre trovare le giuste parole per far parlare i personaggi, occorre rispettare un ritmo dialogico che riesca a far comprendere al lettore chi sta parlando con chi. Perché il lettore stesso è privo di quei segnali guida che si trovano tipicamente in un romanzo (il classico “Christina dissee allora Eva rispose”). E non solo, occorre narrare gli accadimenti per bocca dei personaggi, come resoconti su quanto è accaduto a loro e ad altri, e un “racconto raccontato”, perdonami la cacofonia, rischia spesso di risultare noioso.

Prova a stendere un’opera del tutto dialogata, scoprirai la difficoltà. Qui il talento di Di Costanzo, che dimostra di saper giocare con le parole e di sapersi fare personaggio, di saper donare al lettore la scena, lasciando che si svolga davanti ai suoi occhi, grazie ai dialoghi dei personaggi. E ti senti avvolto dalla stessa, come in un teatro dove le emozioni e il narrato sono protagonisti.

Riesce a consegnare una storia che affronta temi delicati come la morte, la prostituzione e l’omosessualità, rinunciando al punto di vista dell’autore e al suo giudizio di valore. Ogni valutazione è fatta dai personaggi e diventa dunque dei personaggi. Giuseppe scompare in uno sfondo lontano, impercettibile, rimangono solo il lettore, i protagonisti e le loro soggettività.

E il lettore non si perde tra i dialoghi, pur in assenza dei già citati “segnali stradali” narrativi che facilitano la lettura di un testo.

Ultimo punto di forza, è il riferimento a Nietzsche. Cito un passaggio della quarta di copertina: Il romanzo si apre alla vita, scardinandone gli inganni sbriciolandone le maschere, organizzando il caos, per dirla con Nietzsche, che ognuno di noi si porta dentro.

Io forse ho avuto la fortuna in più, ho sentito Giuseppe parlarmi di persona di Nietzsche, quando mi ha regalato il suo testo. Oltre ad aver scoperto un filosofo su cui ci sono tanti, troppi, pregiudizi (per sfatarne qualcuno ti consiglio caldamente questo video della mia amica Ilaria), ho potuto scoprire come Giuseppe non sia solo uno studioso di Nietzsche. C’è un vero e proprio rapporto di pura ammirazione, chiaramente percepibile dallo scintillio che ho visto nei occhi mentre mi parlava del filosofo.

Sai, io ho una piccola tradizione personale. Leggo molto, in viaggio, in metro, ovunque. Ma la sera, steso sul letto, dedico il momento più rilassante della giornata ai classici, che non possono mancare nella mia bibliografia. La sera si legge Calvino, Dostoevskij, Pirandello, Schnitzler e via dicendo. Non c’è spazio per gli emergenti.

Con Di Costanzo ho fatto un’eccezione, per come mi era stato presentato il testo da terzi, per quello che mi ispirava il romanzo (molto vicino a un testo che ho appena finito di scrivere), per la luce che ho visto negli occhi di Giuseppe mentre mi parlava di Nietzsche, per i tanti testi che ha pubblicato fino ad ora. Non ho errato. Tutto tranne l’amore non ha nulla da invidiare a molti classici (per quanto spesso mi si critichino certi accostamenti: uno scrittore resta uno scrittore, non esistono miti irraggiungibili, o non avremo mai persone da poter definire scrittori. Se uno scrittore me ne chiama un altro che appartiene ai classici, concedimi l’accostamento: mi richiama qualcuno, non penso certo sia la sua reincarnazione!)

E per tutto questo e molto altro che scoprirai da solo, Tutto tranne l’amore non può mancare nella tua biblioteca personale.

Buona lettura.

GGB

La mia recensione a “La tensione di Eva”, di Giuliana Mangione

cop (3)Caro Visitatore,

da uno scambio di battute su facebook, ho avuto modo di conoscere Giuliana Mangione e la sua antologia LA TENSIONE DI EVA, Sguardi di donne inquiete.

Dopo averlo letteralmente assaporato le ho scritto questo commento, che oggi condivido con te.

Cara Giuliana.

È forse un po’ banale scriverti che ho divorato il tuo testo, perché verrebbe da rispondere che con 52 pagine è facile che avvenga. Eppure la brevità della tua antologia diventa una variabile trascurabile, se rapportata alla dolcezza e all’armonia del tuo scrivere.

Hai ragione, hai sicuramente uno stile che trasmette in poche battute l’essenziale al lettore, emozionandolo e trasmettendogli un messaggio che lo fa fermare a riflettere su tematiche varie. È una capacità che un po’ ti invidio, lo confesso, ma non vedendola così diffusa, mi piace pensare che sia un talento di pochi, che tu hai la fortuna di possedere.

Vorrei riuscire anche io in poche righe a raccontare una vicenda, emozionando al contempo il lettore e a farlo riflettere. Pensa che quando vedo i regolamenti dei concorsi, che limitano gli spazi a poche pagine (due cartelle, tot battute, spazi inclusi…) mi viene da chiedermi esescrivotuttoattaccatovalelostesso? 😀

E’ sicuramente un talento che si può acquisire con tanto allenamento, e leggerti mi ha aperto la mente ad uno stile che mi piacerebbe acquisire. Dunque lo conserverò nel computer per andare a ripassare ogni tanto come si scrive in modo chiaro, diretto, sintetico e al contempo armonico.

In più sono fermamente convinto che il tuo testo trasmetta molto e che non basti una sola lettura per cogliere le sfumature che trasmetti, è un qualcosa da leggere e rileggere: ad ogni rilettura si può trovare un nuovo messaggio e un nuovo pensiero su cui riflettere.

Sono convinto che ci sia un fil rouge che lega tutti i racconti, una concezione della vita e della morte che spesso tradisce un po’ di pessimismo, ma che porta a riflettere sulla fragilità umana, su quanto i fili che ci tengono qui si possano spezzare facilmente e sempre nel momento sbagliato e per cause futili (mi riferisco al racconto L’ennesima ingiustizia).

Mi è molto piaciuta l’alternanza tra poesie e narrativa, che mostrano il tuo talento in entrambi gli ambiti, anche se personalmente ho più gradito la forma narrata, ma questo dipende probabilmente dal mio orecchio poco allenato alla forma poetica.

Nota di merito, dunque, per i messaggi che trasmetti in ciascun racconto. Ho molto apprezzato quello dedicato al paesino della provincia de L’Aquila, avendo una sensibilità particolare per questa terra martriata dal terremoto.

Concludo, dicendoti che mi hai richiesto di essere oggettivo, e oggettivamente ti dirò che sono un grande stimatore del detto confuciano, Di tre individui che mi passano accanto, uno potrebbe essere il mio maestro. Da lettore posso dirti che mi hai trasmesso tanto, da autore posso confermarti che ho tanto da apprendere dal tuo stile.

Per cui ti ringrazio per quello che mi hai trasmesso con la tua antologia, per quello che ho appreso e per il tempo che hai riempito con le tue parole.

 GGB

Recensione a “L’incrocio”, di Anna Cibotti

41QvsuqvQOL._AA258_PIkin4,BottomRight,-31,22_AA280_SH20_OU29_Caro Visitatore,

oggi condivido con te la recensione a L’incrocio, un testo di Anna Cibotti. L’ho scritta a caldo, subito dopo averlo letto in poche ore.

L’incrocio, un luogo come tanti, in un posto non definito, di quelli che Marc Augé definirebbe non luogo. Il mistero di quattro macchine che si spengono all’improvviso, senza un motivo o un danno reale.

Cinque persone, i cui nomi non sono importanti, si ritrovano costretti a passare la notte insieme, in un capanno vicino a quell’incrocio. Di ciascuno di loro è importante il lato di sé che li descrive meglio, che risaltando e forse riducendo tutta la varietà della loro personalità, finisce per definirli in toto.

C’è il Professionista, l’Amorevole, l’Amante con la sua compagna e lo Scettico. Ciascuno di loro ha una storia di sofferenza, fatta eccezione per uno, che scoprirà presto  di averne una, forse la più intrigante e sconvolgente. Solo chi metterà sul palcoscenico di quel capanno la sua narrazione e la consegnerà a quel gruppetto, potrà lasciare l’incrocio. Un bisogno inconsapevole di narrare, di condividere, quasi a legittimare una storia che altrimenti non esisterebbe.

Ecco una breve descrizione, che spero incuriosisca, de L’incrocio di Anna Cibotti. Un mistero costruito ad arte dall’autrice, che delega al lettore il compito di svelarlo, comprenderlo, farlo suo, ogni lettore potrà trovare la sua spiegazione a questo viluppo, e chissà quanti e quali racconti dei personaggi lo aiuteranno a dare una sua interpretazione.

Non è un caso che Anna si diletti anche a dipingere (la copertina è opera sua): la tela che offre ne L’incrocio allo spettatore, come i quadri d’autore, è passibile di molte interpretazioni, a seconda della prospettiva da cui si osservano le diverse storie narrate o dall’epistemologia che si possiede.

Ho molto apprezzato lo stile di Anna, breve, intenso, per certi versi aspro e proprio per questo vincente e accattivante. Frasi molto brevi che svelano la scena al lettore, ma il velo che tolgono mostra un viluppo ancor più consistente che sarà il lettore a dover snodare.

Consiglio questi tre racconti de L’incrocio non a chi vede nella lettura un semplice passatempo o un divertimento, perché il divertimento e la compagnia non sono gli obiettivi di questo testo. Esso è stato creato, a mio avviso, per far riflettere, per far fermare il lettore a quel crocicchio, a passare la notte con il Professionista, l’Amorevole, l’Amante e lo Scettico; scoprire il lato di sé che più lo categorizza e infine a narrare su quelle pagine la sua storia, quella più remota e nascosta che continua a paralizzarlo e che continuerà a stringerlo, finché non la condividerà con qualcuno.

Buona lettura,

GGB

La mia recensione ad “Anatema”, di Jessica Brunetti.

Caro Visitatore,

Oggi ti presento la mia recensione al libro Anatema. L’ho scritto in forma di lettera, su un treno che mi riportava a Roma, non appena ho terminato la lettura.

anatemaCara Jessica,

scrivo questa recensione in forma di lettera, così da parlarti in modo schietto e diretto di ciò che il tuo romanzo mi ha ispirato. Sono di ritorno a casa con un treno e ho appena chiuso l’ultima pagina di Anatema. Ho la fortuna di avere il computer appresso e dunque posso mettere per iscritto le sensazioni a caldo.

Il tuo romanzo mi ha fatto compagnia per tre giorni e devo dire che mi ha tempestato di emozioni.

Innanzitutto, hai davvero talento nello scrivere e per questo ti faccio i miei più sinceri complimenti. Il tuo stile è molto scorrevole e sai trasmettere le emozioni dritte nel cuore del lettore. L’idea di stendere dei capitoli molto brevi è davvero vincente, specie se accostata alla tua scelta al saper interrompere la narrazione al punto giusto, in quel preciso istante in cui il lettore si ritrova con un groppo alla gola e deve necessariamente voltare pagina per proseguire la narrazione, per vedere come la vicenda si svolge.

E’ una storia intricata, un amore impossibile tra età diverse che è continuamente sfidato da un conflitto tra razionalità e irrazionalità, tra mente e cuore. Spesso te la prendi con il destino beffardo, quasi dominasse le scelte dei personaggi per buona parte del libro, solo alla fine consegni al lettore l’idea che siamo noi artefici dello stesso. Mi  è sembrato curioso, e qui mi viene una domanda, che Destino sia il nome che tu dai a quel tumulto di sensazioni ed emozioni che dominano l’irrazionalità dell’innamoramento, quasi dargli un nome del genere consegnasse quella stessa irrazionalità a un terzo forse non colpevole.

Ti confesso che ho vissuto una vicenda in parte simile e, rispecchiandomi un po’ in Tommaso, l’irrazionalità di quei sentimenti era tutta interna a me, o meglio al noi della strana coppia che si era creata. Facile era consegnare la colpa al Destino, quando era quella parte interna che spesso i poeti chiamano Cuore ad essere il motore di tutto.

La domanda è, dunque, il Destino è il reale colpevole o piuttosto l’alibi di certi amori?

Bellissimo l’intreccio che hai creato, ma soprattutto mi piace elogiare le sensazioni e le emozioni che sei riuscita a dipingere in questa storia. È facile far leggere delle emozioni al lettore, difficile è fargliele provare dentro, trasmettendogliele attraverso parole scritte e ben intrecciate tra loro, che si tratti di passione, o paura o ansia.

16-autori_bigIn tal senso Adele è il tuo personaggio più ben riuscito, il panico che spesso la coglie nel non riuscire ad affrontare le scelte della sua età, la sua paura, il fuoco che le arde dentro, lasciandola completamente disidratata sono stati descritti in modo mirabile. Non che le sensazioni, le emozioni, la rabbia e l’ardore di Tommaso siano da meno, ma credo che sia più facile per te descrivere l’universo dei sentimenti di un coetaneo, per quanto di sesso opposto, che di una donna più grande, di fronte a scelte che la bloccano.

Questa capacità tradisce tanto la tua bravura come narratrice di emozioni, quanto la tua capacità a immedesimarti nei tuoi personaggi, a prescindere dalla loro età o dalle differenze che hanno con  te. Anche il personaggio che appare alla fine, Giulia o la stessa Elisa, probabilmente erano più facili da descrivere per le loro emozioni, essendo tue coetanee: con Adele ti sei superata.

Non so se lo sapevi, se è voluto o se è stata la tua dote di immersione empatica e la tua capacità di riversarla su carta, ma gli sfoghi che spesso dipingi in Adele sono dei veri e propri attacchi di panico. Spesso essi sono dei campanelli di allarme che rivelano una situazione in cui chi ne soffre si ritrova sospeso sulla porta, o bloccato di fronte ad un bivio. Entrare e uscire da quella porta o girare alla destra o alla sinistra di quel bivio è una scelta troppo grande per la persona, che si riempie di angoscia fino ad esplodere.

Non so se lo sapevi o meno: se ne eri al corrente, sei stata bravissima a rendere l’idea di questa situazione di Adele,  a descrivere il suo blocco di fronte alla vita e la relativa angoscia, celata da maschere ben costruite per stare nel mondo e in relazione con gli altri; se ignoravi la cosa, sei stata doppiamente brava, perché ti sei completamente immedesimata nel tuo personaggio.

Cito un ultimo messaggio che mi hai trasmesso, di altro avremo modo di parlare di persona, ma se cito tutto rischia di non essere più una recensione ma un trattato su Anatema, che non incuriosirebbe più il lettore come spero che faccia.

È sicuramente un romanzo che vale la pena condividere per le emozioni che fa vivere al lettore (sottolineo il vivere: non le trasmette, le fa proprio vivere), ma c’è un messaggio tra le righe che io ho trovato e che mi ha molto colpito, perché forse è il legame tra noi che ci ha fatto apprezzare l’uno il testo dell’altro. Possiamo indossare tante e mutevoli maschere nella nostra vita, celare in vario modo il maremoto che abbiamo dentro. Possiamo convincerci che quelle maschere riescano a farci stare nel mondo e in relazione con l’altro. Ma prima o poi arriverà sempre colui o colei che ce le farà crollare una ad una, perché capace di leggerci dentro, nell’intimo, con uno sguardo che va ben oltre le iridi. 😉

In bocca al lupo per tutto, complimenti, non smettere mai di promuoverlo perché vale la pena farlo conoscere al pubblico.

Ti abbraccio, giovane collega 🙂

GGB