La mia recensione a Stryx, di Connie Furnari

17380942_anteprima-stryx-il-marchio-della-strega-di-connie-furnari-1Caro Visitatore,

oggi, prima di presentarti la recensione al romanzo Stryx. Il marchio della strega, di Connie Furnari, sono doverose due premesse.

La prima è che sono sempre più convinto che nel mare magnum di fantasy scritti da esordienti sia necessario che un romanzo di fantasia sia originale e accattivante, per poter piacere e per non scadere nel banale. La seconda è che non sono un amante di fantasy, ma se sto oggi scrivendo la recensione a questo romanzo, vuole dire che esso ha catturato tutta la mia attenzione.

Sono due  premesse doverose per poter rinforzare in partenza ciò che dirò di positivo di questo testo.

Un po’ di sinossi. Dopo aver vissuto in Inghilterra, Sarah, una potente strega, torna a Salem decisa a ricominciare una nuova vita senza la magia. Inaspettatamente, giunge la sorella minore, Susan, strega intrigante e perversa che ha scelto di passare al lato oscuro per la sete di potere, determinata a sconvolgere l’esistenza di Sarah e degli ignari studenti del liceo di Salem. La vita scolastica si rivela fin da subito molto più dura del previsto. L’unico apparentemente interessato a conoscerla è un giovane dai grandi occhi grigioazzurro, Scott, il solo ad essere in grado di risvegliare in lei antichi sentimenti che credeva ormai essere assopiti. Ma Salem ben presto comincerà ad essere sconvolta da numerosi delitti inspiegabili, il cui unico filo conduttore sarà un marchio a forma di “S” posto sulle vittime. Le strade della cittadina diventano pericolose trappole mortali, e a Sarah non resterà altro che affrontare il suo oscuro passato per poter salvare le altre giovani streghe e se stessa.

Mi è capitato tra le mani dopo un contatto da parte di Connie, avvenuto tramite mail. L’ho tenuto per qualche settimana nel kobo, per poterlo leggere non appena avessi avuto tempo.

Ora, hai presente quando ti ritrovi a fare zapping di fronte alla tv, indeciso su cosa vedere? Ecco, immagina di capitare di fronte a un film che già dalle prime battute sai non essere del tuo genere, che ha però quel qualcosa che ti cattura. Nel caso di Stryx è stata la copertina (brava Connie, la copertina è importantissima e la tua è accattivante). Il film inizia e tu stai lì con il telecomando in mano, pronto a cambiare canale, ripetendoti che sarà la solita americanata su streghe e simili.

Accade però che il film inizia stuzzicarti, lo trovi nelle tue corde, continui vederlo, finché la mano non abbandona il telecomando e ti immergi completamente nel film, preso dalla trama.

Quando chiudi l’ultima scena, capisci di avere avuto di fronte un fantasy che vale, divertente, appassionante e intrigante, con la giusta dose di ironia, un buon mix di fantasia e realtà, una storia d’amore che non cade mai nel banale o nel mieloso. E ti ripeti che, se hai sacrificato anche il romanzo che stai concludendo, preso come eri dalla storia, è un fantasy che puoi annoverare tra i migliori letti finora, scritti da emergenti, secondo solo a I tre druidi di Stefano Tomei (ma lì, caro Visitatore, sai che ho avuto una passione particolare!). E di fantasy ne ho scartati almeno dieci nell’ultimo anno, che non ho volutamente recensito per non stroncarli nel mio piccolo.

Stryx è la storia di una strega, Sarah, all’apparenza diciassettenne, ma con un’età anagrafica di tutto rispetto: 360 e passa anni (portati molto bene, vedi copertina!). Di vite ne ha vissute tante, portando con sé una maledizione, un amore passato a cui ha dovuto violentemente rinunciare, una gatta fedele e una sorella che è l’opposto di lei, con i suoi atteggiamenti che sfociano nel libertinaggio più totale. Prima nota positiva: gli accenni storici e letterali che Connie fa, in riferimento alla vita di Sarah, ben incastonati nel romanzo. Quando vivi per 360 anni puoi tranquillamente aver conosciuto Degas, Freud e altri, puoi raccontare aneddoti particolari sulle loro vite e sulle loro personalità. Ho trovato questi riferimenti davvero simpatici e ben inseriti nella storia, magari ne avrei inserito qualcuno in più, man mano che la storia andava avanti, giacché si perdono, sacrificati in virtù della trama principale.

Sarah, decisa a vivere una vita normale, inizierà a frequentare un liceo della sua terra natia, Salem, (classico liceo americano: armadietti, lunghi corridoi, cheerleader, capi bande, sala mensa, punti in più, è una location a mio avviso classica ma sempre vincente) vivendo i problemi di inserimento sociale di qualunque adolescente appena arrivato in una scuola. A complicare le cose, una sorella volutamente combina guai, arrivata poco dopo di lei assieme al maestro delle streghe, Lucifero (un po’ troppo umanizzato per i miei gusti ma di indubbio “fascino”, se così si può dire), un ragazzo che somiglia incredibilmente al suo amore perduto di secoli prima e la presenza dei cacciatori di streghe.

L’evolversi della storia non te lo svelo, lasciando che sia tu a scoprirlo. Quello che svelerò è la bravura di Connie nello scrivere: uno stile semplice e lineare, che non cade mai nel già detto o nel banale. Connie sa dosare ironia e serietà, fantasia e realtà, con uno stile che porta il lettore a perdersi nelle pagine, dalla prima all’ultima, senza momenti di noia.

Non ho colto una morale vera e propria nella storia, se non che il male può spesso trasformarsi in bene e che le apparenze non sono ciò che contano. Temi forse un po’ classici, sotto il punto di vista dell’insegnamento c’è poco di nuovo e di originale. C’è però una bella storia, tutta da gustare, di quelle che ti fanno rilassare steso su un divano e ti fanno alzare pensando che hai passato dei momenti divertenti a leggerlo.

Oh, e poi se è piaciuto a me, terribile inquisitore di romanzi fantasy emergenti, a tal punto da metterlo secondo solo a I tre druidi di Stefano Tomei, che al momento per me è il faro di riferimento da cui osservare gli altri fantasy, vorrà pur dire qualcosa? 😉

GGB

La mia recensione a “Il ladro di anime”, di Roberto Paradiso

947003_10200754171930383_2146198830_nCaro Visitatore,

da piccoli e brevi scambi su facebook si conoscono varie persone, che spesso si fermano a lasciarti un mi piace sulla tua fan page. Capita allora di contattarli e di fare qualche scambio di battute, scoprendo che sono degli autori di testi notevoli.

E’ il caso di Roberto Paradiso, che mi ha segnalato il suo racconto Il ladro di anime, disponibile gratuitamente sulla rete. Incuriosito, l’ho scaricato e ho inaugurato con esso la lettura attraverso il kobo (ebbene sì, mi sono modernizzato, pur continuando ad avere una passione per la carta… ma sono anche ecologista, dunque continuo ad approvare gli e-book, pur non vedendoli in competizione con le brossure: aggiungono qualcosa, non tolgono… perdona la piccola chiosa!) 😀

Ebbene, proprio di tecnologia ci parla Il ladro di anime, con un racconto dove i sentimenti si vanno ad incrociare con le possibilità che l’incerto futuro potrebbe riservarci.

Ora, il racconto è gratuito e disponibile sulla rete, non credo ti serva che ti faccia il riassunto di sedici pagine per incuriosirti, vero? Passo dunque subito alle impressioni.

Il modo di scrivere di Roberto mi piace, è fluido e scorrevole e la storia coinvolge non tanto per la trama ma per i sentimenti che trasmette: emozioni umanissime, paura, amore, coraggio, in un contesto di fredde macchine o meglio di una macchina in particolare, capace di diventare quasi umana, deprivando l’uomo della sua parte più intima, l’anima.

Faccio un’altra piccola chiosa, il racconto di Roberto mi ha fatto ripensare all’antica disputa dei filosofi, che si chiedevano dove risiedesse l’anima umana. La concezione cartesiana la poneva nel cervello e nello specifico nell’unica ghiandola che univa due emisferi morfologicamente simili (ma con funzioni diverse): la ghiandola pineale. Il progresso biologico ha dimostrato che l’anima non è lì, dato che gli split half (pazienti “dal cervello diviso”, operati per tumore alla ghiandola) riescono a vivere e ad avere coscienza, senza neanche accorgersi dell’assenza di questa porzione ponte del cervello.

Torno al ladro di anime, segnalando la bellezza di un finale che rappresenta il trionfo dell’amore, che diventa vera e propria essenza, nato da una macchina e dall’unione congiunta di due esseri umani.

Non so quale sia la finalità di questo racconto per Roberto, se sia un elogio dell’amore o l’ipotesi di un futuro possibile. Io ho letto come messaggio un’avvertenza: man mano che il nostro mondo progredirà tecnologicamente, dovremo sempre tenere presente la componente fondamentalmente umana che ci caratterizza.

La tecnologia è bella, apre possibilità eccezionali, allunga la vita, migliora gli agii, ma le macchine sono fredde, non hanno sentimenti propri, possono solo arrivare a somigliarci, e chissà se un giorno arriveranno a farlo per sentimenti, emozioni e sensazioni (mi viene in mente il film The bicentenary man, con Robin Williams). Anche qualora arrivassero a farlo, sarebbero comunque impulsi creati da file, copie della nostra originalità. L’avvertenza è dunque di seguire la tecnologia, senza perdere di vista il nostro intimo e le sensazioni che solo in presenza reale dell’altro possiamo provare.

Le macchine ci aprono alla comunicazione, moltiplicano il dialogo, ma l’amore, l’amicizia, la passione, le possiamo provare solo in presenza viva e vera dell’altro. Le macchine, in fondo, per quanto moderne, non potranno mai arrivare alla specialità costituita dall’uomo 😉

Un grazie a Roberto, per aver condiviso questo toccante racconto con me, e un consiglio a te, Visitatore, per una breve e bellissima lettura.

Buon proseguimento!

GGB