Selvaggia: essenza e apparenza.

Un uomo non è del tutto se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità.

Oscar Wilde

Caro Visitatore,

dopo molto tempo, riprendo a parlarti di Selvaggia, i Chiaroscuri di Personalità e come sempre delineo le tematiche ad essa legate.

Quasi un mese fa ho postato questo articolo sulle sfumature e i chiaroscuri presenti nel romanzo, e ho fatto un riferimento alla tematica dell’essere e dell’apparire. Mi è venuta in mente mentre scrivevo…

Tenere un blog e scrivere aiuta ad effettuare un’utilissima meta-riflessione, o riflessione di secondo livello, da cui nascono sempre nuove sfumature su ciò che abbiamo pubblicato. Credo che sia un processo riflessivo tendente all’infinito, possibile grazie allo scrivere: presto ti posterò anche un interessante articolo in merito al potere terapeutico della scrittura 😉

Apparire ed essere: come si lega al mio romanzo? La protagonista soffre di un disturbo di doppia personalità e ha una duplice veste, quella di Martina (timida, chiusa, scontrosa) e quella di Selvaggia (aperta, solare, dark). Potremmo dire che il mio personaggio è Martina (perché così è nata) ma appare come Selvaggia.

Apparire si lega alle varie maschere che quotidianamente portiamo; immagino tu sappia, caro Visitatore, che la società stessa, spesso, ci impone di apparire, rinunciando in pubblico al nostro essere reale che spesso sacrifichiamo in nome di una convivenza civile.

Freud diceva che spesso sublimiamo i nostri desideri e le nostre pulsioni per il quieto vivere. Naturalmente ti cito il padre della psicoanalisi come esempio più estremo: lui parla della totale rinuncia alle pulsioni sessuali estreme e all’aggressività, all’Eros e al Tanatos, scaricate in forme di arte e di altre attività, per poter far sopravvivere a società stessa. Una maschera di totale rinuncia, dunque.

Nelle forme meno estreme tendiamo semplicemente a dare la migliore immagine possibile di noi stessi, a volte costruendola totalmente da zero.

Per fare un esempio “psi”: di fronte ad un test, o ad un questionario o ad un semplice colloquio (clinico o di ricerca che sia), è stato dimostrato come le persone tendano a fornire l’immagine migliore di sé, in virtù della desiderabilità sociale. E’ ovviamente una variabile di cui il ricercatore o lo psicologo devono necessariamente tenere conto per mantenere un alto livello di validità dei dati raccolti. In questo caso però la maschera indossata non copre in toto la persona, e non è costruita dal nulla.

Si offre solo l’immagine migliore di sé stessi e dunque la maschera, (l’apparire), occulta unicamente quello che la persona percepisce come negativo per l’altro e per la società, mostrandosi leggermente migliore di come è realmente.

Nei casi più estremi annulliamo il nostro sé (il nostro essere) apparendo come persone totalmente diverse dal solito.

E’ il caso di Selvaggia, se ipotizziamo che la maschera, che indossa per via della doppia personalità, le sia necessaria per la stessa sopravvivenza sociale.

Martina è fragile, insicura, chiusa, introversa e scontrosa. Nei panni di Selvaggia appare forte, determinata, estroversa e socievole. La maschera di cerone, trucco, parrucca e vestiti scuri, che separa il suo essere dal mondo, la rendono una persona del tutto diversa, che sa stare in relazione con l’altro e con la società più in generale, che sa mostrare odio e amore, che sa avere interazioni sociali positive.

Credo che a questo punto, caro Visitatore, Selvaggia possa diventare a tutti gli effetti uno stimolo per riflettere sulle maschere che ciascuno di noi porta, sul grado di essenza e apparenza che ognuno di noi trasporta con sé nel suo viaggio di vita.

Se sei un autore emergente, puoi spingerti anche oltre, rileggendo i tuoi scritti e riflettendo su quante maschere porti con te e riversi su essi. Nelle tue storie, nei tuoi racconti, nei tuoi romanzi, utilizzi ciò che scrivi, le tue metafore, i tuoi personaggi, per mascherare il tuo vero essere o è proprio lo scrivere che fa crollare le maschere che indossi?

Nella tua scrittura c’è essenza o apparenza?

Ci avevi mai pensato? 😉

GGB

Sfumature e Chiaroscuri nel romanzo “Selvaggia”

Volevo inizialmente tracciare Martina e Selvaggia come due entità ben separate tra loro, uniche, ben marcate e tratteggiate. Spesso Selvaggia ripeterà a Daniel che è diversa da Martina, parlandone in terza persona e spingendo il ragazzo a fare lo stesso.

Andando avanti però mi resi conto che la linea di demarcazione, cosi nettamente da me marcata,  andava via via sfumando nel corso della stesura del romanzo. Una volta concluso, capii che avevo creato diverse sfumature, dei continui chiaroscuri dei personaggi, alcuni dei quali individuati dagli stessi lettori, dopo la pubblicazione.

Quanto cresce un romanzo quando, venuto al mondo, si nutre voracemente delle interpretazioni dei lettori, modificando la sua fisionomia!

Il chiaroscuro da me individuato e descritto è quello più diretto, evidente, tra Martina (il chiaro) e Selvaggia (lo scuro). In mezzo varie sfumature come la copertina mostra.

C’è poi un secondo chiaroscuro, suggeritomi da alcuni lettori, che è persino capovolto. È davvero Selvaggia la parte oscura di Martina? Non è piuttosto l’inverso? Non è forse Selvaggia la parte più viva e solare (dunque chiara) di un corpo che con la sola Martina, chiusa, inespressiva, isolata (scura), morirebbe?
Solitamente ho notato che ci sono due fronti : chi ama Martina e non sopporta Selvaggia, vede la prima chiara e la seconda scura. Chi, all’inverso, nutre una simpatia per Selvaggia, la vede come la parte chiara.

Naturalmente non mi schiero con nessuna delle due posizioni, anche se ho una mia personale idea, in parte diversa da quella di partenza, costruita assieme ai lettori con cui ho avuto il piacere di scambiare opinioni.

Alla prima presentazione fatta nel 2011 alla libreria koob, riflettendo su come presentare i personaggi principali, ho individuato un terzo chiaroscuro, che prima mi era poco chiaro.

Apro una piccola parentesi in forma di domanda: è possibile che ci siano delle cose che sfuggono all’autore? Non ha forse il controllo di tutto? No, non è cosi. Un autore narra una storia, ha in mente una traccia, crede di sapere tutto sul suo libro. Poi scopre di aver scritto molto di più, che i suoi personaggi crescono con le opinioni dei lettori, con la rilettura che lo stesso autore fa dopo la pubblicazione. Vivono quasi di vita propria: Renzo e Lucia dei Promessi Sposi non furono concepiti da Manzoni cosi come oggi li conosciamo. Sono il frutto di mille interpretazioni che gli studiosi ne hanno fatto e che i milioni di lettori fanno ogni giorno, leggendolo. Quante di queste interpretazioni furono volute e quante non volute, o almeno non furono cosi lampanti, per lo stesso Manzoni?

Torno al terzo chiaroscuro, quello interno alla stessa Martina e alla stessa Selvaggia. Essendo due personalità distinte anch’esse, come tutti noi, hanno un lato oscuro e uno chiaro e mille sfumature interne.

Martina ha una parte chiara, evidente, data dal suo aspetto fisico (mi viene ora da dire, dal suo apparire) dal suo essere bionda, vestita sempre con colori pastello. Tale parte chiara cozza enormemente con la sua oscurità interna (col suo essere), che la chiude al mondo, isolandola. Diversamente Selvaggia appare oscura, dark, tetra, inneggiante la morte, le tenebre ma il suo essere è solare, socievole, aperto alla vita (seppur sbandata)  e alle relazioni.

Chissà quante altre sfumature di chiaroscuro potrete trovare voi, leggendo il romanzo. Se volete, scrivetemele qui sotto come commento o alla mia mail 🙂

GGB

Come nacque Selvaggia: un incontro continuo col doppio.

Dopo aver parlato un po’ del me scrittore, vorrei dedicare i prossimi post al romanzo.

La prima domanda a cui vorrei rispondere (sottolineo il vorrei perché di solito la prima che mi viene fatta è: “ah, hai scritto un libro? Cool! Quante copie hai venduto? “) è : “come è nata l’idea di scrivere un romanzo su una doppia personalità? ”
Bene, sono contento, mi sono auto-sottoposto un’ottima domanda. Vediamo ora di dare una altrettanto ottima risposta. 🙂

Si può dire che Selvaggia nasca in tre momenti diversi, tutti importanti per il costruirsi dello scheletro della storia.

Il primo risale ai miei sedici anni (lontano, eh?). Quando ero un piccolo ragazzino nerd che si divertiva a giocare di ruolo dal vivo. Cosa vuol dire? Che si andava in 50-60 persone, con un età che variava dai 14 ai 40 anni, nella pineta di Castel Fusano, ad Ostia, in armatura e costumi medievali, per interpretare i personaggi e le guerre del mondo fantasy (avete presente orchi, nani, elfi e tutti gli altri personaggi del Signore degli Anelli?).
Vestiti e armati fino ai denti (con riproduzioni fantastiche in lattice o in gomma piuma di lance, asce, spade, frecce ecc.) ci davamo guerra e interpretavamo i nostri personaggi nello svolgimento delle loro missioni.
Durante una tre giorni di gioco, mi capitò di interpretare un nano piuttosto irriverente. Ero travestito di tutto punto, con parruccone folto, barba lunga e rossa, pipa, armatura e armi. In più la mia altezza naturale non cosi sviluppata 😉
Fu la mia interpretazione migliore. Mi comportavo esattamente come un nano: goffo, orgoglioso, ruttone, con una finezza pari a zero! Ubriacone e con la voce rauca. Diventai famoso dentro il gruppo dei giocatori, per tutti ero il nano che faceva sbellicare dalle risate.
Cosa c ‘entra tutto ciò con Selvaggia? Arrivo al punto: quando mi chiedevano di imitare il nano senza che avessi addosso barba e parrucca non riuscivo a farlo.  L’irriverenza spariva, lasciando spazio alla mia leggendaria timidezza, al punto che molti si chiedevano se fossi effettivamente io quel nano sfrontato che girava per la pineta. In breve, la maschera indossata mi permetteva di avere una sicurezza che naturalmente non avevo. E solo con quel batuffolone di peli in faccia riuscivo ad essere chi non ero.
Anni dopo questa esperienza mi servì per immedesimarmi nei panni di una ragazza che con trucco e parrucca si sentiva una persona completamente diversa da sè.

Il secondo momento è descritto all’inizio del libro. Come Daniel, il giorno prima dell’università, mi trovavo davanti al PC. Era il 2004. A differenza sua non vagavo annoiato per i siti  internet ma cercavo una storia da scrivere. Tra i test di ingresso a Psicologia e l’inizio effettivo delle lezioni era passato più di un mese, e avevo avuto tempo di sprigionare la mia creatività, in storie e storielle mai pubblicate. Quel giorno mi misi in testa di scrivere un romanzo; non avevo idea di come l’avrei sviscerato. Sapevo solo che mi sarebbe piaciuto parlare di una ragazza e del doppio.
Per un po’ abbandonai l’idea, preso come ero dalle prime lezioni e dagli esami, da questo forte cambiamento nella mia vita.

La vera storia nacque mesi dopo, quando iniziai a frequentare un locale dark, il Jungle. Vi ricorda qualcosa? 🙂 E’ proprio il luogo dove Daniel e Selvaggia si vedono per la prima volta. Cosa fece scattare in me l’idea?
Anzitutto il contesto. Gli avventori di quel locale, alcuni fissi altri saltuari, passavano il loro sabato sera ricoperti di borchie, di vestiti scuri e trucco pesante. Durante la settimana capitava di incontrarli per strada, molti con il look dark, molti altri con il look classico, completamente diversi da come apparivano con le loro maschere del sabato sera. Ecco ricomparire il doppio.
Una sera mi fissai a guardare una ragazza che ballava da sola nel locale. Era una dark dai capelli neri, con due occhi azzurri e davvero magnetici.
Un giorno vi narrerò meglio quell’incontro. Per ora basti dire che non seppi mai il suo nome né riuscii a parlarle. Cominciai a fantasticare sul suo doppio, su come potesse apparire durante la settimana, senza tutto quel trucco e quelle borchie. Era sempre cosi dark o del tutto diversa? Iniziai a giocare con i suoi , manipolandoli dentro la mente. Me la immaginai allora bionda, classica, del tutto diversa da quella sera. Immaginai di conoscerla e di entrare nel suo mondo. Fu cosi che nacque l’idea di Selvaggia e dei Chiaroscuri di Personalità: da una persona che non ho mai saputo chi fosse.

Ho impiegato sei anni per portare a termine il romanzo. L’ho lasciato e ripreso centinaia di volte ma costante è stata sempre la voglia di portarla a termine. L’ho portato avanti assieme all’università, man mano che aumentavano le mie conoscenze sulla personalità, sull’adolescenza, sul Sé, sulla patologia e via dicendo; mano a mano che incrementavano anche le esperienze di vita inserite poi nel romanzo.
La corsa finale per concluderlo è stata assieme alla tesi di laurea.

Questa è la storia di come nacque l’idea di Selvaggia, i Chiaroscuri di Personalità.
Tanto per invogliarvi a leggerlo, a commentarlo e a condividerlo 🙂

GGB